n ritratto completo ed esaustivo di Silvio Berlusconi comprende una serie infinita e in fondo ovvia di storie, polemiche e ripicche che annoiano chi legge e sviliscono chi scrive. Molto più sensato, visti i tempi, scolpire nel marmo della pagina word chi non è il Berlusca, il vero rieccolo della Seconda Repubblica, l’ottantenne più attivo della Penisola, il peso determinante della politica (sic) nazionale nell’anno di grazia 1994 2018.

Silvio Berlusconi non è un politico. Questo appare chiaro, lapalissiano, e a onor del vero il nostro non s’è mai dimenticato di ribadirlo in lungo e in largo per l’Italia. Perché lo ricordiamo? Semplice. Tutti i problemi del cosiddetto “ventennio” berlusconiano derivano da tal sorgente: strafottenza, incapacità di strategia, assenza di tatto e garbo istituzionale, retoricume e volgarità ad libitum, igieniste dentali e farfalloni incapaci. L’arte politica, come il manzoniano coraggio, uno non se la può dare. La si può tentare di imitare, ma come il cerone nasconde le rughe le battutine e gli inchini smodati sono il segno di un patetica pagliacciata, volgare e insignificante. Gli sgrammaticati deliri grillini di oggi sono figli non rivendicati dei berluscones di ieri, peones di Montecitorio sbarcati dalla fabrichetta o dalla nullafacenza senza arte né parte (esclusa quella di obbedire perinde ac cadaver, naturalmente).

Estetica Berlusconiana.

Per ciò Silvio Berlusconi non è una vittima del sistema. Egli ne fa parte, ed il suo “martirio” sessual-scandalistico ha rappresentato soltanto una fase tattica del canovaccio progettato altrove a cui da trent’anni l’Italia si dà senza problemi, un carnevale pecoreccio senza limiti né confini. Diversa poteva essere la Storia se, all’epoca del golpe Napolitano, B. avesse avuto l’onestà e il coraggio di andare fino in fondo denunciando a voce alta la menzogna dello spread e le ingerenze inaccettabili della cupola €uropea. Così non è stato, e il nemico numero uno della Merkel è stato prima stampella di Monti, poi alleato di ferro del PD all’epoca di Letta (nipote dell’amico storico Gianni), infine avversario di carta del giglio magico renziano.

D’altronde Silvio Berlusconi non è una novità, anzi. Imprenditore edile, poi Sua Emittenza e plurivincente presidente del Milan, il cavaliere del Lavoro nominato dal Presidente Leone è una vecchia conoscenza della vituperata Prima Repubblica, in specie del rampante milieu che ha conquistato con Craxi le stanze e le sezioni del Partito Socialista. Il nostro rappresenta forse in maniera insuperata la stagione folgorante e allucinata della Milano da bere, del reflusso idiota, dell’edonismo rimbalzato su tutti gli schermi del Belpaese grazie alle reti private e a compiacenti decreti di pretura. Allorché debutta come outsider politico nel gennaio 1994, la sua novità semplicemente non esiste. Eppure trionfa, a sorpresa per gli altri, dimostrandosi il miglior interprete degli umori degli italiani, da lui sapientemente (dis)educati a colpi di tette e pallone per un decennio abbondante. Abituato a utilizzare il Potere come self-service, s’inventò politico per occupare il vuoto lasciato dalla partitocrazia causa Di Pietro.

Craxi e Berlusconi.

Eppure Silvio Berlusconi non è stato un buon Presidente del Consiglio. Troppo breve l’esperienza del 1994 in pieno delirio giudiziar-tangetopolaro, d’accordo. E però il 2001 e il 2008 sono macigni incancellabili: forte di maggioranze ipertrofiche, inedite nella storia della Repubblica, Silvio…non fa nulla. Anzi, continua senza soluzione di continuità l’agenda liberista demolendo ciò che resta dei diritti dei lavoratori, svilendo senza ritegno la Pubblica istruzione e l’Università, obbedendo senza problemi ai diktat di Bruxelles e ai desiderata di Washington. Pochi possono dimenticare l’ameno spettacolo offerto dal bestiario politico d’allora, gioiosamente arricchito da intraprendenti femme fatale e assai capaci yesmen incravattati. L’amicizia con Putin non può certo riequilibrare il conto di chi, senza grossi problemi di coscienza, ha utilizzato la forza della propria maggioranza per ideare giochi giuridici come il lodo Alfano.

Quel momento d’alta ingegneria giuridica conferma una sacrosanta verità: Silvio Berlusconi non fa gli interessi di nessuno fuorché i propri, a loro volta collegati a quadrupla mandata agli indici azionari del gruppo Fininvest. Da provato showman e pubblicitario sa come ottenere il massimo rendimento da ogni fascia sociale, da ogni segmento anagrafico e regionale; la logica elettorale si svilisce a mero calcolo economico. Intercettare il consenso come fosse una curva d’ascolti televisivi, punto. Tutto il resto non conta. Ottenuto il capitale politico, dell’elettorato B. se ne fregherà bellamente, sicuro del proprio peso determinante nello scacchiere dei seggi e delle clientele.

Passaggio di consegne nel fatale Novembre del 2011. (Foto ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)

Per chi, dunque, vuole cercare un’alternativa alla colonializazzione d’Italia, all’oppressione finanziaria, all’elitismo deficiente di Bruxelles, Silvio Berlusconi non può essere la soluzione. Al netto della sua incoerenza o della sua personale simpatia- che nessuno sindaca, altrimenti voteremmo compatti per Verdone o Maccio Capatonda- B. è un rentier miliardario, esponente di quella classe ristretta a cui l’assetto deflazionista della moneta unica va più che bene. Del tuo futuro Silvio se ne frega, come ha sempre fatto accettando nei fatti le logiche antidemocratiche del vincolo esterno imposto dall’Unione Europea a mezzo Euro.

In fondo, Silvio Berlusconi è un liberale. Assunto che il liberalismo risulti antitetico alle esigenze e al costume d’Italia, posto che il liberismo significa la morte della Costituzione Repubblicana e l’asservimento dello Stato agli interessi delle classi dominanti, certificato che l’ex Cav non può essere altro che l’amico della Merkel e il puparo dei media di massa italiani, la sua ennesima riproposizione della fantomatica rivoluzione liberale certifica l’inconsistenza della sua proposta.

A dispetto delle apparenze, il 1994 è passato da un pezzo. Silvio lo sa: ma gli italiani?